Frammenti Critici

sull'attività artistica di Marcello Aitiani

Silvano Tagliagambe *, La costruzione del mondo intermedio, in Pluriversi, Aracne, Roma 2021

Il percorso espositivo Pluriversi, parte integrante del più ampio progetto culturale “Tessere per la felicità” […] è stato un evento a suo modo esemplare per mostrare quel che l’arte può fare per contribuire alla crescita culturale di una comunità e valorizzarne la storia e la tradizione. […] La mostra di Marcello Aitiani aveva come suo pezzo forte, per dimensioni e importanza, la suggestiva opera Sofia Azzurra. Sintonie con Pavel Florenskij, 8 metri di lunghezza per un'altezza di un metro e 80 centimetri: una meditazione pittorica, caratterizzata da un colore azzurro di fondo, una forma del pensare visivo che s’ispira, come evidenziato nel titolo, al pensiero del teologo, filosofo, matematico, storico e critico d’arte russo Pavel Florenskij

[…]

Di fronte a questa pretesa assolutistica della grande arte dell’Umanesimo e del Rinascimento e all’assunzione di un unico punto di vista privilegiato ed esclusivo dal quale osservare la realtà Florenskij non esita a esprimere la sua preferenza per la più umile arte medioevale, che ci ha lasciato capolavori assoluti senza lasciarsi sedurre dalla tentazione di presentarli come il modo migliore di rappresentare il rapporto tra i due mondi nel quali si svolge la vita dell’uomo, e non è stata neppure sfiorata dal proposito di ricondurre e ridurre tutto ciò che circonda l’uomo al suo universo interiore.


La pluralità degli stili e lo spirito della mostra

Questo problema della pluralità degli stili ci fa capire l’importanza della compresenza e della coesistenza, in un unico complesso monumentale come la Chiesa di San Domenico a Prato, di realizzazioni appartenenti a epoche diverse. Non è come vederli in luoghi diversi e staccati tra loro: la possibilità di abbracciarli con un unico sguardo, o comunque di poterli osservare e analizzare in sequenze ravvicinate, rende concreto per l’occhio il riferimento a confini che li distinguono ma, nello stesso tempo, come detto li mettono in comunicazione reciproca. Può così emergere un mondo intermedio espressione, anziché di un solo stile di pensiero e di rappresentazione, di un’intera cultura, del suo sviluppo diacronico e delle relazioni sincroniche tra le sue diverse articolazioni e componenti, e che quindi può contribuire più efficacemente ad assottigliare il fossato tra mondo visibile e mondo invisibile. […]

Il fatto poi che a Prato a questa già cospicua disponibilità di stili della chiesa di San Domenico si sia aggiunta la mostra di un artista contemporaneo, il quale, avendo studiato con attenzione il contesto, ha inserito perfettamente le sue opere all’interno di esso, ha arricchito e impreziosito ulteriormente il tutto. Marcello Aitiani è molto preciso e rigoroso a questo riguardo nella sua presentazione dell’evento: «In linea generale ho cercato di ‘ascoltare’ gli spazi del luogo, le risonanze meditative che le sue articolazioni, volumi, luci, frammenti di affreschi, etc. suscitano. Partendo da questo ascolto ho sentito il desiderio di creare un dialogo, una relazione tra le opere e un’ambiente così carico di storia, anche artistica. Penso sia importante superare la disgiunzione che da molto tempo ormai regna tra universo dell’arte antica e quello del nostro tempo. Preferisco evidenziare un’altra linea, pormi off the line come scrive Stephen J. Gould in Wonderful life, uscirne fuori, e immaginare un pluriverso nel quale tradizione e contemporaneità coesistono pur nella diversità, secondo la visione complessa che le esplorazioni del pensiero e delle scienze evolute contemporanee ci offrono».

A proposito del confine Florenskij sottolinea che il nostro sguardo non si deve soffermare su di esso come linea di demarcazione, ma ne deve fare lo stimolo e l’occasione per vedere in modo translucido, attraverso esso, e sapere così mantenere in tensione reciproca tutte le diverse componenti presenti, riuscendo a farle coesistere e a collegarle, e ponendosi, come appropriatamente sottolinea ancora Aitiani, domande sul rapporto tra il linguaggio e il visibile (e l’invisibile che lo anima e sostiene), tra il linguaggio e il conoscibile (e l’inconoscibile che supera per estensione, indefinitamente, il conoscibile), tra il linguaggio e le forme che sono i modi attraverso cui il linguaggio conosce se stesso. Attraverso cui l’uomo conosce se stesso. Domande ineludibili. Domande che cercano una forma, alcune forme, per attingere alla luce.

La sua interpretazione del pensiero di Florenskij, attraverso Sofia azzurra, forma ben riuscita del pensare visivo, è, come scrive qui Antonio Prete, «una relazione tra le arti che cerca un suo racconto nel tempo e nello spazio del visibile, con la materia che è propria del visibile. Portando, in questo racconto, frammenti di un dialogo con l’invisibile». Esprime e sintetizza bene, quindi, i cardini e le idee guida dell’opera dell’autore a cui è dedicata e in più riesce a farne anche una chiave illustrativa e interpretativa di nodi cruciale della ricerca scientifica più avanzata, come sottolinea Filippo Martelli, al quale appare «come un buco nero circondato dal disco di accrescimento, ovvero dal vortice di materia attratta dalla straordinaria gravità del buco nero che, comprimendosi, si riscalda ed emette radiazione, in contrasto con il disco scuro che rappresenta il buco nero, nero perché nemmeno la luce riesce a sfuggire alla sua gravità». Non è sorprendente più di tanto, se si pensa quanto Florenskij si sia impegnato ad avvicinare e a far dialogare in modo concreto scienza e arte.


In perfetta continuità e sintonia con Florenskii è un altro aspetto dell’attività artistica di Marcello Aitiani che merita di essere evidenziato. Si tratta del riferimento al carattere vincolante del “senso della realtà” che costituisce un punto decisivo di distacco dello stesso Florenskij dall’esperienza dell’avanguardia russa. […]

Il problema, allora, non è quello di cancellare la realtà preesistente, o astrarsi da essa, ma quello di tenerne conto e farla crescere. È in questo senso che Florenskij definisce e intende il realismo. Prendere atto della realtà e tenerne conto non vuol però dire fermarsi a essa e concepirla come un vincolo assoluto e un ostacolo a ulteriori modalità rappresentative. Aitiani nel documento di proposta e di presentazione della mostra che abbiamo già citato, sottolinea l’importanza di «una progettazione partecipata, con il coinvolgimento attivo (dal ‘basso’, con molte virgolette) di persone, enti, istituzioni, associazioni della città. Come artista ho cercato in sostanza di ritrovare un contatto più stretto con la vita. Un desiderio che sento da molti anni e che cerco di perseguire, quando possibile. Considero pertanto il mio intervento pratese come una forma di ‘arte pubblica/ambientale’, espressione che intendo come un pensare e un fare artistici che stimolino l’attivazione di processi di trasformazione positiva, individuale e sociale, anche nella speranza di favorire migliori relazioni tra le persone e accrescere una capacità di “leggere” le realtà del nostro tempo, immaginandone anche di ulteriori e possibili».

* Filosofo della scienza, Professore emerito, Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana

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Mauro Ceruti *, La complessità del visibile: sull’arte di Marcello Aitiani, comunicazione personale

L’arte di Marcello Aitiani è una profonda meditazione sul rapporto fra arte e pensiero, tra filosofia ed espressione estetica. Un rapporto affascinante, ma tutt’altro che facile da affrontare. Tanto più se consideriamo che esso è stato fortemente limitato o negato dalla tradizione culturale moderna. Questa ha infatti voluto definire il pensiero in termini strettamente logici e protocollari e relegare l’arte nell’ambito del fantastico e dell’immaginario intesi come sinonimo di irreale e di irrazionale. La visione razionalista e dualista tipica della prima modernità da una parte ha svuotato il pensiero rendendolo astratto e dall’altra ha sminuito l’arte dichiarandola arbitraria e priva di razionalità, e troncando così una lunghissima tradizione di segno diverso. Ci si è dimenticati in tal modo che per millenni queste due dimensioni hanno sviluppato un dialogo reciproco fitto e imprevedibile, sempre aperto e reciproco anche quando si traduceva in distinzioni e contrapposizioni.

[…]

Le contrapposizioni che si sono imposte nella modernità non sono però un semplice errore. Sono piuttosto il segnale di cambiamenti culturali e di problemi reali che si possono riconoscere dietro le distinzioni secche e intransitive, le svalutazioni schematiche e sommarie. La vetrata, che Marcello Aitiani ha magistralmente inserito in un prestigioso ambiente barocco come quello della Chiesa del Crocifisso nel Santuario di S. Caterina da Siena, sintetizza questa situazione con grande sensibilità e acutezza […] ci ricorda che la figura umana è divenuta ai nostri giorni di difficile rappresentazione, costantemente esposta com’è al rischio dello scadimento di gusto, della strumentalizzazione commerciale, della banalizzazione seriale. Assistiamo a un’usura fortissima della raffigurazione dell’essere umano, da un lato inflazionata nell’attuale moltiplicazione mediatica che sembra togliere valore a tutto quello che tocca, dall’altro disertata dalla ricerca artistica di maggior impegno, che la evita oppure ne studia la scomposizione, il degrado, la deumanizzazione.

[…]

Aitiani affronta la difficoltà con straordinaria intelligenza e si sottrae alla tentazione della raffigurazione umana diretta. Tuttavia, l’artista procede in questa maniera non per evitare lo scoglio della figuralità antropologica, ma al contrario per generare un dialogo complesso con le figurazioni dell’edificio antico su basi nuove. […] La segmentazione visiva tipica della vetrata è accentuata fino a diventare frantumazione, così come i colori marcati del vetro dipinto sono accentuati sottolineando il distacco dalla cornice architettonica, pittorica e plastica fortemente armoniosa e unitaria della Chiesa. Questo stacco apparentemente traumatico permette tuttavia di ripensare visivamente al rapporto fra l’antico ormai chiuso nella sua perfezione passata e il moderno consegnato alla sua frammentazione, e ristabilisce tra i due estremi così reciprocamente diversificati un imprevisto rapporto, e a partire dal bellissimo organo sottostante, che richiama nascostamente la presenza della musica sacra e la natura musicale dei metodi compositivi dell’artista. Seguendo la guida dell’armonia musicale, ci accorgiamo allora che la vetrata, che in un primo momento può apparire irrelata sotto il profilo strettamente visivo, rivisita non tanto le figurazioni cristiane assunte nella loro apparenza e nella loro consumazione e consunzione visiva e liturgica, quanto il dinamismo creativo, creazionale che le sottende, e che la figurazione moderna lascia affiorare su una superficie che non è definita, poiché è essa stessa in definizione, poiché è essa stessa il processo definitorio di figurazioni virtuali e future, affidate non solo alla nostra percezione, ma al nostro pensiero. Il genio della figurazione dinamica e generativa di Aitiani recupera il rapporto con quelle forze artistiche originarie da cui sono scaturite anche le altre forme espressive: la musica e la danza, evocate dalla struttura armonica e ritmica della vetrata, e infine (ma in realtà in principio) la parola, che nella cornice della vetrata si richiama all’incipit della Genesi e del Vangelo di Giovanni, facendone anche un nuovo inizio per l’arte, cristiana e non solo, affacciata sulle speranze e sulle incognite del Terzo Millennio.

* Filosofo, teorico del pensiero complesso, Docente universitario - Università IULM di Milano

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Antonio Prete *, Asterischi: le forme, la lingua, in Pluriversi, Aracne, Roma 2021

Sofia azzurra: una meditazione pittorica, un trattamento figurale della luce, una forma del pensare visivo. E una forma del pensare musicale, ma nei modi della rappresentazione cromatica. Una relazione tra le arti che cerca un suo racconto nel tempo e nello spazio del visibile, con la materia che è propria del visibile. Portando, in questo racconto, frammenti di un dialogo con l’invisibile.

La vertigine degli spazi siderali incontra la sua dicibilità, la sua lingua, che è l’azzurro, il colore leonardesco della lontananza. Un azzurro che, dialogando con rifrazioni e riflessi di sé, ma anche con presenze cromatiche contigue, a sua volta si affida al tempo della forma – al limite geometrico della forma – ma per accogliere in questo limite l’oltre di uno sfondamento del visibile. Che è vortice di galassie in fuga, trionfo di siderali accadimenti che non hanno né tempo né forma: l’al di là del linguaggio, della rappresentazione. Il colore come finestra sull’infinito. Su un infinito che proprio per la sua indecidibile forma e natura è solo un provvisorio, fuggitivo, apparire del colore. Del colore che lo evoca senza poterlo attraversare, della forma che lo indica senza poterlo conoscere.

Come dare una forma all’infinito? Come dargli un colore? Tutte le domande sull’arte, anche quelle che riguardano le tecniche del fare artistico, hanno sul fondo questo domandare.


Irriducibilità dell’arte al limite della forma. Che è solo materica, o visibile, fugace raffigurazione di un’armonia che a sua volta è disegno di un’impossibile perfezione. L’intimità tra il tempo e lo spazio, il dialogo tra i sensi interiori e i sensi esteriori, l’estensione del visibile fin sulla soglia dell’invisibile, la presenza del non accaduto nell’accadere, del non vissuto nel vissuto, dell’altrove nel qui – movimenti che un poeta come Baudelaire ha portato nel ritmo del verso, e di un pensare poetante – sono il respiro proprio dell’arte, e delle forme che decliniamo con il nome dell’arte. Ma tutto questo non entra se non come segno, come allusione, come cenno nel poiein, cioè nell’attività che definisce forme, tempi e spazi nelle forme, colori e ritmi nelle forme. È per questa irriducibilità dell’arte al visibile del fare artistico che il giovane Baudelaire scriveva, in polemica con i fautori di un réalisme soddisfatto della sua resa al concreto e al qui e ora della forma mimetica: “La poesia è quel c’è di più reale: essa è completamente vera soltanto in un altro mondo”. […]


Sofia azzurra. Conoscenza per via fantastica: dove il fantastico è movimento verso l’alto, verso il pulsare cosmico. Astrale geometria di ellissi. Sfondamento del principio temporale e del suo nesso con lo spazio verso un oltre che insieme è materia e vuoto di materia, energia e vuoto d’energia, origine e esplosione dell’origine fuori di sé, nascita di mondi, e vortici di mondi. Allo stesso tempo la conoscenza, se è tale, non può che rivolgersi a scrutare il cielo nascosto, il tempo-spazio e l’oltretempo e oltrespazio della propria interiorità. L’arte come linea di congiunzione tra questi due cieli, tra queste due forme della conoscenza?

* Poeta e critico

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Filippo Martelli *, Scienza e arte. Riflessioni di uno scienziato a margine del finissage della mostra Pluriversi di Marcello Aitiani, in Pluriversi, Aracne, Roma 2021


[…] Le opere di Marcello Aitiani, viste da uno scienziato, offrono sempre l’opportunità di superare la conoscenza del singolo fenomeno, si pongono a complemento della sua percezione individuale della realtà, lo rapiscono svelando una galassia di possibili collegamenti con altre discipline, suscitando stupore, ammirazione e profonde riflessioni.

Ponendosi ad esempio di fronte alla sua Cosmogonia (dai cicli di Empedocle), la continua creazione, trasformazione e distruzione delle forme, richiama all’astrofisico che è in me lo straordinario ciclo vitale delle stelle […]. Così, nella visione di Aitiani, Amore e Odio si alternano e si mescolano nella creazione di universi, estendendo la visione del processo naturale a considerazioni sociali, alla nascita e morte di civiltà e culture, ponendoci anche l’interrogativo sul destino dell’uomo, quesito che, tornando alla scienza, è anche il più generale interrogativo cosmologico sul destino dell’Universo.

E la cosmologia è fortemente presente anche in Goccia dell’universo che, come nel successivo sviluppo del rosone della Chiesa del Crocifisso, nel Santuario di S. Caterina a Siena, rappresenta una continua trasformazione ed evoluzione, uno sviluppo a geometria circolare che Marcello ha esteso e arricchito in un video, accostando al mondo delle immagini anche quello dei suoni, inserendo tra essi anche la trasduzione acustica del primo segnale di onde gravitazionali rivelato dall’uomo, il “chirp”, il rapidissimo cinguettio di due buchi neri che si fondono in una vorticosa e spaventosa danza gravitazionale.

Le immagini e il suono, onde elettromagnetiche e onde acustiche, le une a complemento delle altre per arricchire le nostre percezioni.

[…]

Ho ritrovato spunti di riflessione sulla luce, sulle informazioni che ci offre, sul significato di percezione, anche nelle installazioni del terzo piano, le lastre azzurre poste davanti alle finestre, un invito esplicito a meditare sulla visione, su quanto il nostro cervello è in grado di ricostruire partendo da poche informazioni, su quanto di invisibile e non percepito è contenuto in una installazione artistica.

Inevitabilmente tutto questo ha rafforzato in me la profonda convinzione della necessità di superare i confini, di dialogare tra differenti discipline, tra differenti culture, di trarre tutta la ricchezza che l’apparente diversità può offrire.

Direi dunque che l’intento di Marcello Aitiani, di superare con questa esposizione la visione di un uni-verso per giungere alla ricchezza dei pluri-versi, ha pienamente raggiunto lo scopo e che i fili invisibili che connettono tutti i molteplici aspetti presenti, anche se necessariamente mi sono qui maggiormente concentrato su quelli che connettono scienza e arte, costituiscono una tessitura complessa in grado di liberare l’animo umano dall’inaridimento della quotidianità, che è il fine a cui deve tendere il più ampio progetto “Tessere per la felicità”.

* Fisico, Docente universitario - Università di Urbino, insignito dello Special breakthrough Prize in Fundamental Physics

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Enrico Crispolti *, Qualche nota per prima, durante e dopo Nave di Luce, in Marcello Aitiani. Entropie e armonie, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada”, San Gimignano 2006


[…] Lungo gli anni Ottanta la sua pittura si caratterizza in modi molto personali, secondo una qualità che definirei pronunciatamene “autarchica”, giacché fondata, come spesso accaduto in mozioni dell’avanguardia storica meno conclamata (fra uno Strzeminski, per esempio, e un Buchheister, in ambito mitteleuropeo, o in Italia, in certa misura, persino fra un Prampolini e un Fieschi; svariando fra anni Venti e Cinquanta), non tanto sul rapporto con modelli linguistici d’altrove, quanto attraverso gestazioni configurative, di forme quanto d’impianto cromatico, dovute a una sorta d’endogenesi immaginativa mentale, intimamente appunto di riferimento simbolico, esattamente in termini d’allusività a una totalità, a una cosmogonia […] E durante gli anni Novanta, nelle proposizioni pittoriche di Aitiani, s’accentua l’evidenza distinta delle singole componenti simboliche, fino al ricorso anche ad accenni figurativi. Vi si registra infatti un’accentuazione della compresenza di narrazioni multiple, come capienza maggiore dialettica dell’immagine proposta; evidentemente adombrando deliberatamente una consapevolezza della complessità (ordine-disordine), per la quale Aitiani si rifà a Prigogine (di cui, fra l’altro, nel suo Fata Morgana, Pezzini Editore, Viareggio, 1998, si richiama a passi quali: «l’evoluzione dell’universo non è stata nella direzione della degradazione ma in quella dell’aumento di complessità»; «la produzione di entropia contiene sempre due elementi ‘dialettici’: un elemento creatore di disordine, ma anche un elemento di creazione d’ordine. E i due sono sempre legati»). Tipico un suo dipinto di grande varietà-complessità di virtualità d’allusioni simboliche quale Narrazioni multiple. Mondi nei mondi, del 1996.


Gli interessi di Aitiani e il lavoro che ne consegue s’iscrive in una tradizione problematica del rapporto immagine/colore e musica/suono che in vario modo percorre l’intera articolatissima scena delle molteplici vicende della ricerca artistica contemporanea, lungo l’intero XX secolo, e anzi lo scorcio del XIX e fino a quest’avvio del XXI. Si potrebbe azzardare di dire, estensivamente: da Ciurlionis a Brian Eno.

[…]

Di qui la dimensione di un lirismo intellettuale, di dialogo profondo con archetipi antropologico-culturali che si intravede entro il suo linguaggio, che in particolare dall’elaborazione di Nave di luce, cioè dalla fine degli anni Ottanta, ha superato i confini dello specifico pittorico per lavorare appunto “extramedialmente” attraverso “strumenti ipermediali”, realizzando opere di nuova dimensione, “info-telematiche”, rispondenti a una “logica multidimensionale”, tipica dei sistemi complessi. Nell’intenzione di affermare un sentire non riduzionista dell’uomo e dei suoi legami con la natura, appunto nel quadro di un pensiero ecologico della complessità, entro una concezione non meccanicistica della realtà […], all’interno di una ritualità che aspira, senza anacronismi, al ripristino di legami con le nostre radici.


Infine, brevissimamente, una riflessione sulla proiezione immaginativa di Aitiani a frizione con la dimensione urbana. Sia attraverso le “vetrate”, sia il più ambizioso progetto di torre telematica luminosa relativo alla sua partecipazione al progetto di sistemazione dell’area della stazione ferroviaria senese. Esiste infatti, nel quadro degli interessi immaginativi, progettuali e operativi di Aitiani, anche una proiezione “pubblica”, che non si risolve soltanto nell’implicazione comportata dalle sue “opere visive e musicali” di strutturazione “info-telematica”, ma anche in un rapporto di fruizione più diretta, spazialmente più circoscritto quale appunto le “vetrate” possono essere.

Una vetrata infatti non costituisce soltanto un elemento iconico-cromatico ambientale interno ma anche un possibile diaframma espressivo che connette fruitivamente una spazialità interna e una spazialità esterna urbana. Proprio come Aitiani mette in atto in quest’occasione a San Gimignano, relativamente alle tre sue vetrate nel Duomo. Ma l’avvio era già in occasione della grande vetrata nel Santuario di San Caterina, a Siena, ove ha sviluppato centralmente l’impianto iconico del ricordato dipinto Goccia dell’universo. Una vetrata infatti “immaginata, data la sua configurazione ovale, come un grande occhio surreale, la cui pupilla è costituita dalla Goccia dell’universo”. Mi scriveva in proposito il 14 maggio 1994, in una lettera che peraltro con chiarezza suggeriva anche il senso della sua esperienza di autore appunto di “vetrate” (fra i non numerosi qualificati e motivati in circolazione oggi).

«Mi preme molto questo tipo d’esperienza che tocca il tema del rapporto arte-architettura (decorazione, spazialità cromatica, etc.) e, comunque, di un fare artistico non più solo circoscritto agli ‘esperti’ della galleria, ma reinserito nel circuito della vita. La vetrata, inoltre, in quanto ‘pittura di luce’, ha i caratteri della flessibilità e naturale variabilità (date dal cambiamento della luce nel corso delle ore), per un calore e un colore ambientali».

* Storico dell’arte e critico, già Docente universitario - Università di Siena

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Marco Ciampolini, Vetrate di Marcello Aitiani: un dialogo possibile tra la contemporaneità e i luoghi antichi, comunicazione personale


Quando Marcello Aitiani ha dovuto affrontare la commissione della vetrata nella chiesa del Crocifisso si è trovato di fronte a uno dei problemi più assillanti per un artista contemporaneo: inserire un’opera moderna in un contesto antico e, in questo caso, fortemente connotato da interventi di cultura barocchetta.

Gli edifici di culto, lo sappiamo, sono dei coacervi di opere, delle più varie epoche, dunque anche un pittore contemporaneo ha il pieno diritto di lavorarvi. Tuttavia, mentre in passato l’artista operava con forme figurative le quali, pur nella diversità degli stili, permettevano il mantenimento di una certa uniformità, nella contemporaneità il mutamento radicale delle forme espressive ha tracciato una netta separazione con il passato, interrompendo questa continuità. L’artista di oggi, se da un lato può cadere nell’anacronismo, nel tentativo di uniformarsi al passato, dall’altro rischia di creare, con il proprio intervento, un contrasto con il preesistente così netto da compromettere l’intera decorazione dell’edificio. Per questi motivi è assai raro vedere opere contemporanee in chiese antiche, e anche se vi sono è difficile notarle, essendo esse, per lo più, di modeste dimensioni, proprio per eludere il confronto, anzi la competizione, con l’antico.

Marcello Aitiani, diversamente, questo confronto l’ha accettato. Ha illustrato, con una vetrata, uno degli elementi strutturali più in vista di una chiesa, l’occhio della facciata. Inoltre ha posto la sua opera a ridosso della parte che connota la decorazione dell’edificio: gli affreschi della volta, dovuti al pennello di Giuseppe Nicola Nasini (1657-1736). La sfida è stata quella di ritrovare, in chiave contemporanea, un effetto aereo e solare analogo a quello degli affreschi nasiniani, senza tuttavia negare un linguaggio artistico e un pensiero rispondenti ai paradigmi, al clima culturale del tempo presente. […]

Secondo la poetica tipica di Aitiani uno stimolo creativo forte può scaturire non solo dalla visione, ma da un brano poetico, da una musica e può essere acceso anche attraverso visioni del pensiero scientifico contemporaneo, che l’artista ritiene ormai fuori dallo scientismo dei secoli passati. Aitiani sente insomma il fare artistico come una profonda aspirazione spirituale. Perciò non si appaga nella mera operatività sensuale, nella ottimale manipolazione delle materie secondo le tecniche della propria arte, come talvolta accade allo strumentista, al pittore, allo scultore; e neppure pensa che il fine dell’arte consista nella rappresentazione, o mimesi, di una storia, di un personaggio, di un brano di realtà o anche di una condizione sentimentale; tutti elementi che possono a vario titolo essere presenti ma che l’artista, secondo il suo pensiero, dilata e trasfigura con un respiro per così dire filosofico-immaginativo.

Nel suo personale intendimento non sono sufficienti né la componente ideativo-concettuale, né la mera istintività emozionale né, all’opposto, la mera conoscenza e applicazione delle regole delle singole discipline. Occorre invece l’interrelazione di queste varie linee che crea –per riprendere un assunto della teoria della gestalt– un insieme, una totalità che è più della somma delle singole parti.

Aitiani, consapevole che anche nelle più recenti e accreditate ricerche delle neuroscienze il pensiero non è riducibile alla pura razionalità ma è relazionato inscindibilmente alle componenti sentimentali, emotive e motorie, non si è limitato a ideare e progettare l’opera ma ha personalmente compiuto il lavoro di elaborazione della pittura originaria (di formato tondo) per farla evolvere in rapporto alla sagoma ovale dell’occhio; e ha seguito passo passo, di propria mano, anche la realizzazione della vetrata. Mi ricordo l’autore mentre distribuiva su un tavolo luminoso della “Vetreria Artistica La Diana” i tasselli vitrei della composizione: un’infinità, di tutte le forme, ma preferibilmente ellittiche, e nessuna di perimetro regolare. […] Già in quella fase di montaggio si capiva la volontà dell’autore di ricercare, con un’espressione “astratta”, la flessuosità aerea della cultura barocchetta, nelle linee, ma anche nei colori, chiari ed eleganti, con improvvise accensioni di rossi, gialli e azzurri, in un concerto ininterrotto e ciclico di segni e colori.

Così il lavoro finito è stato il prosieguo della musicalità barocca dello spartito decorativo principale della chiesa, un prosieguo, tuttavia, perfettamente contestualizzato nella contemporaneità. […]

Simili opere dimostrano che interventi contemporanei possono essere realizzati in qualsiasi contesto del passato, a patto che lo rispettino e che ne propaghino il senso più autentico e profondo, non bloccandolo ma rendendolo vivo e inserito nell’evolvere del tempo.

* Storico dell’arte, Docente all’Accademia di Carrara, Direttore scientifico del CARMI - Museo Carrara e Michelangelo.

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Omar Calabrese *, Il barocco combinatorio di Marcello Aitiani, in Caos e bellezza, Domus Academy, Milano 1991


[…] Come è noto il mito dell'unità delle arti appartiene alla cultura barocca in senso storico e ad altre culture barocche in senso formale, come quella futurista. Per quanto concerne il barocco storico, va detto che, ancor più interessante del proposito generico di combinare architettura, scultura e pittura...è il principio sostenuto da Bernini del coagulo fra materiali architettonici, scultorei e pittorici quasi senza soluzione di continuità. E' quello che Bernini...denominava il bel composto... A me pare che la Nave di luce sia, in termini ovviamente diversi e moderni, una traduzione attuale del bel composto, che mette in gioco, anziché le sole arti figurative, anche la musica, scritta ed eseguita…

L'idea di Aitiani non è affatto la riduzione del complesso al semplice, quanto piuttosto la produzione del complesso a partire dall'apparentemente semplice. La matrice...funziona come quelle formule che in fisica vengono denominate leggi del caos. Ovvero: equazioni che definiscono delle oscillazioni ma che, quando le oscillazioni superano certe soglie precise, fanno precipitare il fenomeno a cui si riferiscono da un assetto a un altro... La matrice di calcolo aleatorio che presiede all'opera multimediale di Aitiani è, come si è visto, tratta dalla scienza e applicata mediante la tecnologia... Nella Nave di luce, insomma, la tecnologia è l'intermediario fra un matrice e il risultato finale, ma è anche parte integrante del risultato... Un'ultima considerazione che mi sento di fare, a proposito della natura barocca della Nave di luce, è che il sue alto sperimentalismo intellettuale la avvicina... non al barocco ampolloso, carico, drammatico: caldo. Piuttosto la pone in relazione con un barocco che definirei freddo in ragione del piacere del funzionamento intellettuale dell'opera creativa [... ]

* Semiologo, già Docente universitario - Università di Siena

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Fulvio Bencini, Per Marcello Aitiani, comunicazione personale


Per noi che scriviamo affermando un’arte che si ispira al neoplotinismo esistenziale, l’opera pittorica di Marcello Aitiani rende i due momenti dati della nostra definizione.


La prima nota da segnare è un’arte ciclica, plotiniana la quale non disdegna né il mutolo vichiano, né la musica, né il mimo, né la scrittura pittorica o plastica, né tantomeno la drammatica.

Arte totale, dunque, per esprimere un’ascesa del mondo e degli uomini verso l’ineffabile dell’Uno.


L’altra nota, che è correlata alla prima, è l’arte totale ed esistenziale espressa da Kierkegaard, il quale rende attuale il moto antico delle forme.

Il filosofo danese, nelle sue distinzioni sottili, ne fa una (vedi Aut-Aut); l’artista è ciò che è spontaneamente; se diventa, e non è, salta nella legge, la quale sfocia in una noia dell’impersonalità che trae l’uomo-artista e autentico a cercare l’assurdo, l’ineffabile. Marcello Aitiani ci sembra che abbia fuso questi ultimi tre momenti esistenziali, che implicano varietà artistiche a vari livelli per giungere all’Uno Totale.

Dall’uomo spontaneo e dalla natura, in progressivo ritorno si sale – attraverso varie tecniche del secondo momento – al tremore di un’angoscia che esige il supporto di tanti gradi inferiori, per salire, in una totalità artistica, all’assurdo o al sovra-razionale sia di Kierkegaard che di Plotino.

* Drammaturgo

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Claudio Cerretelli *, Museo di San Domenico: la complessa rete di Pluriversi, in Pluriversi, Aracne, Roma 2021

[…] Una mostra quindi che evita il semplice posizionamento delle opere negli spazi disponibili, con l’effetto di “museo guardaroba” (secondo l’efficace definizione di Philippe Daverio), aprendosi invece al contesto che la ospita, alla città, in dialogo con l’oltre (parola che non casualmente l’artista ha riportato sulle tre lastre di vetro cattedrale in gradazione azzurra nell’installazione realizzata nella sala più alta del Museo), arricchendosi grazie all’ambiente che la ospita e arricchendolo di consonanze e contrappunti stimolanti. Questo percorso d’arte ha insomma dato percepibile concretezza estetica ai due temi su cui si è incentrato il programma di “Tessere per la felicità” nel corso degli incontri con studiosi: l’arte e la relazione.


Le opere presentate, da analizzare con curiosa attenzione nei ricchi rimandi e nei particolari, sempre significanti, propongono accostamenti e relazioni tra musica, matematica, astronomia e fisica in accordi e contrasti, anche nell’uso di materie e tecniche diverse, che rimandano a segni visivi, suoni e parole talvolta memori dell’arte antica, ma sempre consapevoli della contemporanea complessità e indefinitezza del reale, fino a costituire, ciascuna e nell’insieme, un pluriverso, come più volte ribadisce l’artista.

Si tratta, perciò, di una mostra complessa, come lo è Marcello Aitiani, artista colto e curioso, razionale e consapevole della propria ricerca, ma anche aperto all’intuizione, pronto a lasciarsi meravigliare dall’impatto di un raggio di sole su un oggetto, o dalla vibrazione - fisica o interiore - prodotta da un suono.

Nel suo percorso tra tecnologia e estetica, tra bellezza e sapere scientifico Marcello Aitiani è volutamente libero e curioso di sperimentare, come ad esempio testimoniano i suoi lavori visivi e musicali, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, legati all’estetica della comunicazione e alle nuove tecnologie info-telematiche. Ma come scrive Enrico Crispolti, «Aitiani non è un artista sperimentale, meramente euristico, ma artista propositivo le cui intime motivazioni ideologico-emotive solleticano un’estrinsecazione espressiva di complessità “multimediale” […]. Credo proprio, esattamente, quale professione d’una volontà di riconnessione, di totalità rappresentativa in senso umano quanto cosmogonico, forse di una consapevolezza di partecipazione ad una possibile recuperata unità uomo, natura, cosmo».

[…]

Marcello Aitiani comunica agli altri il suo personale approccio alla comprensione della complessità del mondo in cui viviamo, della nostra stessa esistenza, adottando forme transdisciplinari (sulla scia del pensiero di Jean Piaget e Nicolescu): le varie discipline – arti visive, musica, scienza, filosofia, scrittura, poesia, astrofisica, architettura - tendono a ricollegarsi in un sistema totale complesso, istituendo scambi, rimandi, armonie e sinestesie, ma anche dissonanze e contaminazioni. Se questa sua concezione si richiama anche a figure quali Pavel Florenskij […] Anche Pluriversi nasce da questa concezione poliedrica e dinamica, prossima ai fondamenti di una ecologia integrale, con cui ascoltare la varietà e complessità del mondo che ci circonda, contrapposta al comodo, uniforme monopensiero dominante, troppo ristretto su obiettivi utilitaristici di corto respiro, con i suoi miraggi di successo, ricchezza, disimpegno, che assopisce ogni capacità critica e propositiva.

* Architetto, Direttore dei Musei diocesani di Prato

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Enzo Tiezzi *, Il fascino policromo della neghentropia, in Marcello Aitiani. Entropie e armonie, San Gimignano 2006


[…] Ritengo che ci siano stati popoli, e culture che hanno conosciuto profondamente la natura e che, con l'uso continuo e abbinato di sensi e ragione, come fonti di conoscenza, sono arrivati a gradi di civiltà piuttosto elevati per quanto riguarda tale pensiero; alludo ai sorrisi beffardi degli Etruschi, al gran rispetto per la Madre Terra degli Indiani d'America, tutti e in particolare i Maya, penso ai miti della civiltà celtica.

Oggi invece, come sottolinea Paolo Montanari nella nota introduttiva a I discepoli di Sais, a causa della prevalenza della ragione strumentale unicamente preoccupata di selezionare, classificare, controllare e dominare i propri oggetti, il senso, che un tempo pervadeva ogni aspetto dell'esperienza umana, "si ritira" producendo quell'atmosfera di disincanto (eclisse degli dei) che è uno dei tratti distintivi di questo nostro secolo, così totalitario e disperato.

Religione, mito, arte vengono accantonati come residui di precedenti età dell'uomo, espressioni del suo lato irrazionale, pulsionale, primitivo.

Marcello Aitiani, novello Novalis, dipinge le trame della Natura, le tesse con l’armonia della musica e delle poesie. Fa salpare “navi di luce” per avventure di sogno, usa le “scale armoniche”, intreccia “entropia e neghentropia” con le note del pentagramma.

[…]

Dagli strani attrattori di Prigogine si può ricavare (l’abbiamo calcolato ed eseguito sperimentalmente) l’impronta vocale del bramito del cervo, del suono dei gibboni, del canto delle balene: è l’evidenza scientifica della biodiversità!

Con la fisica di Prigogine, con l’entropia e la neghentropia si possono modellare e costruire figure bellissime, opere d’arte simili a quelle della natura. Così sono anche le tele di Aitiani, tele di ragno, tele naturali, architetture termodinamiche di energie e materie, di entropie e armonie che racchiudono i colori della Natura.

* Chimico fisico, già Docente universitario - Università di Siena

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Valter Pala*, Per le vetrate di marcello Aitiani, in Marcello Aitiani. Entropie e armonie, San Gimignano 2006

La domanda più ovvia che una persona si possa fare, quando entra in una chiesa, come le nostre antiche, come quella di S. Caterina a Siena e come la Collegiata di San Gimignano già così ricche di testimonianze d’arte, è: Perché ancora un’opera e perché anche oggi?

È un interrogativo banale, ma solo in apparenza. Le risposte, poi, possono essere molteplici. Del resto, sembra ormai accettato il principio per cui il significato di un’opera estetica si strutturi su vari livelli, relativi ai diversi valori culturali di una società. È un discorso questo, che può essere fatto con competenza solamente da storici e specialisti. La mia risposta vorrebbe essere più semplice.

Perché una chiesa non è un museo e tanto meno un luogo morto e congelato, ma un luogo sacro e, in qualche caso, come per la chiesa del Crocifisso del Santuario di S. Caterina a Siena dove Aitiani ha realizzato il suo rosone Genesi, anche legato alla memoria viva di una santa e del suo popolo, che in lei vede ancora la presenza amorosa del Dio dei viventi. […]

C’è, ancora oggi, bisogno di arte perché c’è bisogno di Spirito, che spinga gli individui a scoprirsi persone nella gratuità dell’Amore offerto e condiviso, al di là di ogni funzionalismo ideologico o religioso. In tal modo, l’occhio del cuore si risveglia ed entra in risonanza con l’occhio di carne. Dal puro godimento estetico è possibile, allora, passare alla contemplazione; perché il fascino spontaneo del frammento, che ti apre uno squarcio sul tutto, diventa “quasi sacramento”. In Gesù, uomo perfetto, ogni realtà umana è trasfigurata e diviene un possibile segno della presenza divina. La vera opera d’arte può essere anche segno perfettibile, storicamente limitato, ma pur sempre ricco di interiorità sofferta e condivisa.

È, forse, in un’ottica di simpatia, di condivisione della ricerca espressiva e della sofferenza interiore, che si possono aiutare i veri artisti a dare il volto del Figlio dell’uomo alla voce che ancora li interpella.

È lo Spirito che ancora parla, che non ci permette di mummificare le nostre chiese, ma ci spinge a viverle nella libertà delle celebrazioni liturgiche. Speriamo che gli artisti ritrovino con noi la strada per celebrare il Signore della Vita “in Spirito e verità”. Con le opere di Marcello Aitiani, e con le Iridescenze del suo nuovo rosone, di paradisiaca suggestione dantesca nella Collegiata di San Gimignano, ci è donato un segno di speranza.

*Già Proposto della basilica collegiata di Santa Maria Assunta

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Massimo Ruffilli*, Entropie e armonie: la forma dei valori, in Marcello Aitiani. Entropie e armonie, San Gimignano 2006

La dimensione territoriale per lungo tempo in Toscana è stata il frutto del rapporto equilibrato e diretto tra gli artefatti e l’ambiente, che è stato chiaramente percepito nel mondo come l’espressione di un’alta qualità di vita, in armonia con il territorio.

Nell’attuale periodo, caratterizzato dal fenomeno della globalizzazione, è importante che il modello produttivo toscano verso la riqualificazione dell’artigianato e del prodotto di design sia sempre più percepibile.

L’iniziativa di Marcello Aitiani, docente al Corso di laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi di Firenze e artista di grande valore nella terra di toscana, è una occasione emblematica per evidenziare questi concetti e questi rapporti della contemporaneità.

La Costituzione italiana all’art. 9, incentrato sulla cultura, sulla ricerca scientifica, sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, evidenzia la presenza delle due categorie fondamentali della cultura italiana: quella dell’arte e quelle della scienza, mostrandone l’unitarietà e la coesistenza.

Il modello rinascimentale toscano, e Firenze intesa come città territorio, ha sempre avvicinato i caratteri dell’umanesimo e della cultura iconografica con il pensiero tecnologico e scientifico.

Il design come disciplina della contemporaneità è un tipo di cultura che riassume questi due valori antichi, che si separarono in maniera drastica al tempo della razionalità illuministica francese che divise l’école politecnique dalle beaux arts.

Le relazioni tra scienza e bellezza, immagine e parola, musica e ambiente, tendono ad unire l’uomo con la dimensione morfologica dello spazio in cui vive ed opera.

[…]

Così lo sviluppo sostenibile, la qualità ecologica dei prodotti, la continuità fra passato e futuro, la tradizione come matrice dell’innovazione, la valorizzazione dei saperi locali nei vari processi produttivi, le capacità narrative dell’oggetto, la qualità e il piacere estetico ecc. sono tutti valori apparentemente astratti, che attraverso il progetto, assumono qualità reali.

La mostra Entropie e Armonie di Marcello Aitiani offre un importante contributo a questi nuovi paradigmi della contemporaneità.

* Docente universitario - Università di Firenze. Fondatore e Presidente dei Corsi di Laurea in Design e Moda

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Judy Malloy*, in https://people.well.com/user/jmalloy/from_Ireland/from_Ireland_notebook_coda.html

An interlude in the slow reading of Marcello Aitiani and Francesco Giomi's 1990 paper: "The Artwork Nave di Luce: a Journey into Telematics, Art and Music" [1. in Connectivity: Art and Interactive Telecommunications, ed: Roy Ascott and Carl Loeffler, Leonardo 24(2) 1991, 179-183.] occurred a few weeks ago when the point in their paper was reached where "The computers were programmed to select only one note in each branch" and subsequently, the authors observed that "The process was based on structures that allowed varied possibilities and produced different and unpredictable formal results".

At this point, it seemed a good idea to revisit John Cage's strategies, so I ordered a copy of Richard Kostelanetz' Conversing with Cage and worked on my paper (on "Allusion, Identity, Authoring System, and Audience in Early Text-Based Electronic Literature") while I waited for its arrival.

[…]

In the beginning of my own work in electronic literature, I was aware of the importance of what contemporary musicians had done/were doing, but as electronic literature created its own vibrant field, we looked more at our own history. (and in my case, also returned to early music) Thus, the part of this 2015 writer's notebook journey that began with Nave di Luce and circled back to Conversing with Cage, was an important reminder of the relevance to electronic literature of the work of contemporary musicians. […]

For a short social media poetics break, today I returned to contemplating Marcello Aitiani and Francesco Giomi's 1990 work, "The Artwork Nave di Luce: a Journey into Telematics, Art and Music." The role of remote connection in this compelling work is of interest.


What must have seemed extraordinary to the audience was the moment when the new score was transmitted via computer from the Conservatorio di Musica in Florence to the church in Siena, where it began to print out -- most likely on continuous feed paper -- and then was played/interpreted by the organist.

The authors observe that "These kinds of remote links enabled the musicians and artists involved in the work to interact and influence each other in their expressive choices." (p. 180)

[…]

The Gregorian chant used as a component of Nave di Luce was written around the 10th century, so it was first necessary to score it with traditional notation. This score was then divided into 12 fields, creating 12 units that would form the basis of further compositional processes. After algorithmic processes were applied to these fields, only the wordless music was performed. Nevertheless, these fields were not determined by measured notation but rather the chant was segmented in such a way that the words remained intact, and the poetics were retained

Whether or not -- in only the altered sound of the subsequently algorithmically generated wordless music -- the listener familiar with the words of the chant might recall them, I don't know. Working with words only in an opposite process, a device I have used throughout From Ireland with Letters is to repeat only a few phrases of Irish music lyrics in the belief that some readers will hear the music of song in their minds as the work progressed. This device pervades the work of Irish poets and writers, including, of course James Joyce.

In their paper on Nave di Luce, Marcello Aitiani and Francesco Giomi depict the initial results of segmenting the chant as a 12 branch tree-structure, and illustrate this with an evocative drawing by Aitiani. There might be a question as to whether this is actually a tree-structure, but if we consider that the flow of the sound is eventually directed by algorithmic processes, (and a certain amount of interactivity on the part of the organist), perhaps we are dealing with the kinds of issues that arise with generative hypertext -- i.e. generative hypertext is not what is traditionally called hypertext. However, it can be called hypertext both because the unit of text is the lexia and because, linking exists implicitly in the way the lexias are composed.

What algorithms do Aitiani and Giomi impose on these 12 fields?

[…]

Every time I page through the classic Leonardo issue on telematic art, Ascott and Loeffler's Connectivity: Art and Interactive Telecommunications, it is for a different reason. This week it was to look at Dana Moser's work which I wished to mention in the Introduction to Social Media Archeology and Poetics. Done.

Every time I page through Connectivity, I encounter the figures in "The Artwork Nave di Luce: a Journey into Telematics, Art and Music" by Marcello Aitiani and Francesco Giomi [1] -- thinking this looks interesting, but it is not my mission in Connectivity today. This has been going on for 24 years.

This week however, I was seized by the desire to briefly escape from the throes of compiling the complete manuscript of Social Media Archeology and Poetics. So metaphorically, I went to Florence and Siena with Marcello Aitiani and Francesco Giomi.

Nave di Luce is a complex work. But this very complexity was part of what finally drew me to explore this work, in part because I was reacting to the complexity of a considered authoring system for when we return.

Nave di Luce was a distributed sound/image work that first took place on March 10, 1990 at three different sites: the Consevatorio di Musica in Florence; the Church of the Santissima Annunziata, Santa Maria della Scala in and the Magazzini del Sale in the Piazza del Campo in Siena. These places were connected with two different systems: networked computers {a mainframe at the conservatory in Florence; PCs in Siena) with which each place could communicate (a time sharing system was used) and an audio/video link through which images and sound could be transmitted. Note that in this pre-webstreaming era, different systems were necessary.

Inside the Church in Siena were an organist and a choir. Music data was transferred to the Conservatory; images and sound were transmitted to the exhibition space in the Piazza del Campo.

As regards the sound, it worked in this way. First, in the church the choir sang Gregorian chants. The sound was streamed to the audience in the Piazza del Campo.

The next three components are best described by the composers at this point.

Second Phase
One of the Neumatic-Gregorian scores, which previously was digitally codified and then was played in the performance, was re-elaborated by one of the three computers. The new score was controlled not merely by a set of rules but by the musicians' impromptu intervention (Human machine interaction). This was then sent from Florence to the church in Siena through the datalink.

Third Phase
The new score was printed out inside the church. The organist then played it in a Neumatic key, trying to stress the unseen elements inserted by the computer. This performance was also tele-transmited to the Magazzini del Sale.

Fourth Phase
Simultaneously, fragments of electronic music pieces, generated by the computer in Florence, began to play ad libitum. This performance took place in the exhibition center, where an audience was listening. Thus the telematic aspect was the most significant of the entire performance."

And so, since I have an introduction to finish, the exploration of Nave di Luce will be continued next week... *Poetessa, scrittrice e studiosa di ipertesti narrativi e social media

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Enzo Tiezzi *, La bellezza e la scienza, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998


Se riusciremo a far coincidere la fisica evolutiva con l’estetica, la scienza con l’arte, l’ecologia dei sistemi complessi con la filosofia, potremo cominciare a percorrere i sentieri della creatività, valore indispensabile per la ricerca in ogni campo. Giustamente un pittore come Marcello Aitiani rivendica, nello scritto e nelle opere, il ruolo dell’emotività. L’uomo è completo solo se è in grado di usare, contemporaneamente, tutta la sua razionalità da una parte e tutto il suo istinto, il suo affetto, le sue emozioni dall’altra. Mi ha fatto molto piacere leggere in Fata Morgana che «il dato dell’emotività, dell’affettività, della qualità riveste un’importanza fondamentale non solo sul piano dell’espressione e della ricerca artistica, ma per una più generale condizione formativa e operativa di un uomo e di una società che siano in grado di affrontare le sfide di questo tempo». Così, nel libro di Aitiani sono per noicompagni di viaggio il tempo e i colori, i frattali e la complessità, Goethe e Heisenberg, Mandelbrot e Bateson.

* Chimico fisico, già Docente universitario - Università di Siena

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Luisa Puddu *, Un’arte che connette, in Marcello Aitiani. Entropie e armonie, San Gimignano 2006


[…] la visione delle cose di Marcello Aitiani passa attraverso l’arte, così come reciprocamente (o ricorsivamente) la sua arte è intrisa dei temi che connotano il suo – e nostro, come condizione umana – essere nel mondo (Dasein). Al tempo stesso si tratta di un’arte epistemologica, che si nutre di conoscenza ed è finalizzata alla conoscenza, attraverso un percorso incessante di ricerca e sperimentazione; e un infaticabile interrogarsi.

Mettendo in gioco i diversi sensi, la sua ci appare anche autenticamente estetica un’arte, nel significato originario del termine richiamato dal più importante studioso junghiano vivente, lo psicologo James Hillman […] Se l’aisthesis è il modo in cui noi conosciamo il mondo e la risposta estetica è un rapporto ravvicinato, di intimità con la natura e con le cose, che hanno una loro anima (Hillman, 2002), si comprende perché le creazioni di sensi e sinestesie dell’arte di Marcello Aitiani siano di impatto profondo e ad ampio spettro […]

Il chiasmo di un’estetica complessa e di una complessità estetica è uno dei contributi più rilevanti e significativi che Marcello Aitiani offre alla cultura contemporanea. Analogamente a quanto accade nel mondo della natura, in cui la biodiversità è al centro dell’evoluzione e della sostenibilità (cioè di uno sviluppo in grado di durare nel tempo), così la varietà delle proposte e combinazioni tematiche, simboliche, espressive, disciplinari del lavoro di questo artista tanto sensibile anche alle molteplici suggestioni ambientali costruiscono e rendono tangibile la possibilità di un’arte evolutiva e durevole. Un apporto che non si limita dunque ai contenuti proposti, ma lavora anche sulla cornice epistemologica, sulla concezione di fondo del paradigma artistico, favorendo l’affermazione di un’arte sostenibile.

[…]

Lontano dalle leggi del mercato, e distante da un’arte globalizzata, la sua opera è l’icona di un’arte globale. Il suo è infatti un cosmo artistico, in cui si ricompone la frammentazione dei saperi tipica della modernità; in cui le arti dialogano fra loro e con la scienza; dove le soluzioni del presente si proiettano nel futuro, innestandosi sulla lezione del passato; in cui la materia è intrisa di spiritualità e vi è attenzione allo spirito materico; dove le risposte non sopiscono le domande; dove il rigore si sposa con l’immaginazione e la libertà con la disciplina; dove la cura del particolare entra in risonanza con la visione d’insieme; dove la manualità si coniuga con la tecnologia; dove c’è posto per la sobrietà e per l’esuberanza, per la linea e per il colore, per la densità e la rarefazione, per il silenzio e per la polifonia, per i vuoti e per i pieni, per le superfici e per gli spazi, per gli angoli e per le curve, per il numero e per la parola, per l’immagine e per il suono, per le descrizioni e per le astrazioni, per le fantasie e per le concettualizzazioni, per la velocità e per la sosta, per il micro e per il macro, per gli interrogativi dell’uomo contemporaneo e per quelli dell’uomo antico e di sempre.

E’ in questa unitas multiplex, per dirla con un’espressione riproposta spesso da Morin (1989; 2002), (che trova una sintesi pittorica efficace già nel tondo del 1981 Goccia dell’universo) il segreto della forza che le sue creazioni artistiche condensano e comunicano. Una forza derivante da scelte che non separando emozione e intelletto tengono Marcello Aitiani lontano dall’errore di Cartesio (Damasio, 1995) e gli consentono di lavorare con le sinergie prodotte dall’intreccio di connessioni multiple.

[…]

Un’arte che può non essere compresa o si può decidere di ignorare, ma che certamente non si presta ad essere usata come una merce, né può facilmente essere gettata: troppo poco di grido o alla moda e contemporaneamente troppo “ingombrante” e complessa. […] Ci troviamo dunque di fronte a un’arte dalla forte identità, a cui corrisponde un’altrettanto forte personalità artistica. Forse anche per questa ragione stupisce, e per altro verso contemporaneamente risulta più apprezzabile, il fatto che gli interventi ambientali di Marcello Aitiani facciano sentire la loro presenza, senza prevaricare, ma nel rispetto del genius loci (Norberg-Schulz, 2005) […]

Con le sue scelte egli sembra indicare una strada che non mira a un’affermazione personale, ma a una visione del ruolo sociale e culturale di chi opera nel campo dell’arte: quello di rivelare lo straordinario nell’ordinario e dare valore e risonanza alla «psiche collettiva, l’anima mundi in cui viviamo le nostre vite di ogni giorno» (Hillman, 2004, p. 41) […].

* Psicologa clinica, Docente universitario - Università di Firenze

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Giuseppe Furlanis *, Necessaria è la bellezza, in Marcello Aitiani. Entropie e armonie, San Gimignano 2006


Il ‘900 ha bandito dall’arte la bellezza, lasciando al variegato sistema degli oggetti il compito di svelare l’identità estetica del nostro tempo. Gli oggetti si sono imposti nelle sottili arti del gusto e della seduzione. Questi però, sebbene caratterizzati da forme e da segni sempre più vistosi per rafforzare la loro identità, hanno prodotto una generale disaffezione nei confronti delle cose. Impermeabili ad ogni forma di giudizio morale, gli oggetti sono divenuti l’espressione più tangibile di una diffusa omogeneizzazione dei linguaggi estetici che ha generato quella che Benjamin ha definito una “percezione distratta” della realtà. L’impressione è infatti quella di trovarsi in un contesto ipertrofico dove il continuo bisogno di generare il nuovo e il diverso ha viceversa prodotto un panorama uniforme, dove tutto è uguale a tutto, e dove se tutto è estetico probabilmente nulla lo è!

[…]

Ma proprio perché avvertiamo il bisogno della qualità estetica e percepiamo la rinuncia alla bellezza come disvalore, consideriamo tuttora l’arte come un antidoto alla banalità estetico - formale che ci circonda. […] Questa tensione verso un’idea della bellezza, capace di sfuggire alle regole di uno schematico determinismo per percorrere il tortuoso sentiero della complessità, è riconoscibile in tutto il lavoro artistico di Marcello Aitiani. Le sue opere, sebbene siano ascrivibili principalmente all’ambito della pittura, esprimono il desiderio in una sintesi e di una unità tra le arti. Sintesi perseguita attraverso una sperimentazione che dilata il linguaggio pittorico verso la scultura, la musica, l’installazione multimediale […] proprio perché, come egli ha scritto in Fata Morgana edito da Pezzini, l’artista, il pittore, lo scultore, l’architetto, il poeta, il musicista, lo scienziato «devono riprendere una collaborazione da troppo tempo interrotta. Non perché ognuno aggiunga alla propria opera elementi pleonastici, in modo posticcio. Ma per realizzare, in una coesistenza creativa, quell’esperienza multilinguistica, che è la sola capace di tradurre positivamente le potenzialità espressive e le dinamiche non lineari, caotiche, del nostro tempo secondo un ‘ordine del non equilibrio’ (Prigogine) che in sempre più vasti settori si viene constatando. Superando, altresì, la logica di un mero e vecchio funzionalismo tecno-scientista, incapace di rispondere alle richieste crescenti della vita».

[…]

Altro aspetto che emerge con chiarezza dalle sue opere è lo svelamento dell’arte come esperienza conoscitiva e non come prodotto risolutivo di un’idea. […]

Il tema della natura è centrale nell’opera di Aitiani, sia come riflessione sugli aspetti intangibili della natura cosmica, sia come confronto sugli aspetti più concreti, e oggi di particolare rilevanza, della tutela e della valorizzazione dell’ambiente naturale; sia ancora come intervento nei luoghi naturali e urbani per una loro riqualificazione. Una concezione quindi dell’arte in cui il criterio della bellezza deve necessariamente includere il rispetto dell’ambiente, sia questo prodotto della natura o della cultura. Il lavoro di Marcello Aitiani è radicato nel luogo, nella tradizione. È un lavoro orientato al contemporaneo senza però mai rinunciare a quanto lo spirito antico può donare all’uomo. […] Un ricco giacimento storico che si configura come un immenso archivio dell’anima, come un prezioso giacimento di saperi capace di generare nuove esperienze estetiche. Partendo da questa consapevolezza l’opera di Aitiani guarda in forma continua la storia, senza nostalgia per antiche vestigia, ma come strumento di valorizzazione del contenuto umanistico dell’esperienza estetica e come ricerca di un senso religioso della vita. Aitiani fa propria la molteplicità prodotta dalla stratificazione dei tempi; riattualizza il passato nel presente attraverso anche un’osmosi tra tecniche tradizionali e nuove tecnologie, così come è stato nella sua opera, telematica e insieme oggettuale, Nave di luce, la cui componente musicale parte appunto dal canto gregoriano o ancora nelle sue ambientazioni oggettuali-telematiche, tra le quali può ricordarsi Esse, veramente pionieristica e “futuristica” installazione computerizzata visiva e musicale, ambientata nel 1988 a Cuma, nell’Antro della Sibilla, luogo sacro del più remoto passato.


La costante attenzione nei confronti dell’identità dei luoghi porta Aitiani a riscoprire gli antichi mestieri: vetrate artistiche realizzate con tecniche tradizionali, elementi di arredo urbano in pietra serena, tarsie in ceramica. Opere queste che cercano di definire una relazione di qualità con il contesto urbano o architettonico, così come è nel caso del rosone della cattedrale di San Gimignano. Le opere di Aitiani, siano esse riferite all’ambito dell’arte o a quello più specifico dell’artigianato artistico, si presentano come l’espressione della capacità dell’artista di emozionarsi e di emozionarci, e soprattutto ci permettono di comprendere quanto la bellezza sia necessaria e sia il risultato di un continuo dialogo tra innovazione e tradizione, tra arte e scienza. Un dialogo che è peculiare dell’esperienza estetica nel nostro paese, che ha permesso al design italiano di essere protagonista sulla scena internazionale e che può dare origine ad una rinnovata idea dell’arte.

* Architetto, già Direttore dell’I.S.I.A - Design di Firenze

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Albert Mayr*, I viaggi della “Nave di luce”, in Marcello Aitiani - Nave di Luce. Arte, musica, telematica, Electa, Milano 1990


[…] ormai non è più sufficiente travasare tout court operazioni artistiche tradizionali in un set-up telematico o inviare da un capo del mondo all’altro materiali esteticamente amorfi per costruire quella che Mario Costa chiama «l’estetica della comunicazione». Deve essere affrontato con inventiva e rigore, accortezza culturale e onestà l’arduo compito dello sviluppo di una grammatica dell’arte telematica. Nave di luce costituisce un notevole contributo in questa direzione. Potremmo cominciare col rilevare la molteplicità dei materiali visivi e sonori, dei procedimenti di presentazione, trasmissione/elaborazione e dunque delle modalità di fruizione. Il lavoro non si propone come operazione che scaturisce da un’improbabile tabula rasa ma pienamente coinvolge, ricontestualizza materiali e opere preesistenti, sia appartenenti ai luoghi – in particolare alla Chiesa e ai Magazzini del Sale – sia alla persona, all’attività dell’ideatore. A questi si combinano materiali nuovi, più specificamente “tecnologici” […]. I collegamenti tra i due luoghi dunque non veicolano soltanto immagini, suoni, dati, istruzioni da un punto all’altro ma si caricano delle caratteristiche a essi impresse dal molteplice lavoro di esecuzione, ascolto, visione… svolto in ambiti volutamente non neutrali. I “ponti” tra i luoghi senesi e quello fiorentino, tra le opere ed esecuzioni ed eventi che in essi occupano spazio e/o tempo, sono predisposti in modo da permettere una ricchissima, quasi illimitata gamma di interventi bidirezionali, di invii e ritorni, di altalene di elaborazioni e rielaborazioni di quanto è avvenuto, avviene, avverrà nei due centri; […] un repertorio di operazioni che vincola ogni intervento ad una precisa logica artistica, che nulla concede ad una euforia happeningistica. Sul versante visivo Aitiani non si fa prendere la mano dalla “facilità” tecnologica ma si rivela fedele continuatore della paziente, quasi puntigliosa ricerca che lo ha portato agli affascinanti risultati della sua produzione precedente; sul versante sonoro, ovviamente già avviato verso una spiccata ieraticità dal materiale di partenza gregoriano, i brani elaborati elettronicamente con l’assistenza di Giomi non si scostano dal clima estetico rigoroso, ispirato alle “Scritture p/neumatiche” di Aitiani.

La Nave di luce dunque ci porta in un viaggio, in un’avventura artistica in cui spazio e tempo acquisteranno nuovo significato estetico.

* Compositore e teorico

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Laura Monaldi *, Unitas multiplex, in Pluriversi, Aracne, Roma 2021

Marcello Aitiani è uno dei pochi artisti contemporanei che ha saputo cogliere l’eredità del passato - dalle avanguardie storiche alle neoavanguardie passando per la Nuova Musica e l’anti-accademismo architettonico sino ad abbracciare i recenti dibattiti culturali - per costruire una poetica di pensieri e riflessioni volti a plasmare una sua visione dell’arte, entro cui nel tempo si è venuta inscrivendo anche una tensione a rinnovare ciò che nel senso comune si è trasformato in grigio e talvolta negativo conformismo, in modo da stimolare possibilità di un domani diverso e fruttuoso. Un crossing-over che dà origine a opere d’arte elaborate fin nei piccoli dettagli e ricche di risonanze provenienti dai vari mondi del sapere, ma di una spiccata originalità non sincretica; un attraversamento, una cross fertilization, da cui scaturiscono considerazioni importanti, che assicurano la variabilità dei punti di vista e delle direzioni che l’uomo può percorrere nell’arduo viaggio evolutivo. Letteratura, arti e scienza divengono nell’opera e nel pensiero di Marcello Aitiani un’unità articolata del reale, ricco di meraviglie e di scoperte, nella consapevolezza che l’arte può in qualche modo impreziosirlo, prima ancora che la storia ne arricchisca il senso.

[…]

È chiaro che nel corso del secondo Novecento sino ad oggi l’Arte contemporanea ha tentato di trovare una soluzione alla crisi ideologica della modernità attraverso le immagini, i linguaggi e i materiali del mondo che si qualificano come metafore epistemologiche. Il piacere estetico è andato via via mutando la propria natura e le proprie condizioni: da piacere emotivo e intuitivo si è fatto piacere intellettuale costituendo un nuovo modo di vedere, sentire e capire un universo in cui i valori tradizionali sono andati in frantumi. Marcello Aitiani è consapevole di tale condizione, ma anche della pluralità sinfonica del pensiero, non riducibile ad analitico razionalismo, ponendo dunque la ragione in relazione con immaginazione, emozioni e sentimento, facendo dell’arte un mezzo di comunicazione ed espressione, in grado di operare non tanto una sintesi quanto una “coesistenza” traducibile in organismi e operatività multimediali e interdisciplinari, con uno sguardo volto all’oltre, simbolo della molteplicità - ancora da scoprire - degli elementi che compongono la vita nella propria pluri-universalità. […] Nella poetica di Marcello Aitiani «per adattarsi ai cambiamenti, per restare in armonia con il contesto, per evolvere è necessario non isolarsi, non dividere ma invece mettere in relazione le parti senza che esse smarriscano i propri contorni, la loro individualità. Infatti occorre avere un limite, un confine che preservi la nostra identità personale e locale, ma nello spesso tempo essere aperti, per permettere scambi (di materia, d'energia, informazione...) con l'esterno, con gli altri e col mondo. Come osserva Serge Latouche «il locale non è un microcosmo chiuso ma un nodo in una rete di relazioni trasversali virtuose e solidali». L’errore da evitare è quello di cristallizzare lo spazio esistenziale dell’uomo; è necessario renderlo aperto e fruibile, dinamico e ricco di possibilità attraverso, appunto, la compartecipazione e le virtù delle relazioni umane.

*Saggista e critico d’arte contemporanea

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Lara-Vinca Masini *, Marcello Aitiani, in Oro d'autore. Materiali e progetti per una collezione orafa, Arezzo 1989

Laureato in Legge, studioso e operatore di musica elettronica e dedito alla pittura, Aitiani elabora il suo lavoro pittorico a costituire una sorta di fulcro e di cassa di risonanza tra il suono e la parola, in un'interazione reciproca, realizzata a mezzo di sistemi logico-matematici, che applica sia alla progettazione formale che alla elaborazione del colore [...]

In effetti egli riprende, su basi diverse e con dilatazioni mentali e applicative rinnovate - e anche con un tipo di approccio nuovo e ricco di aperture verso confini imprevedibili - il genere di ricerca che personaggi come l'jugoslavo Viceslav Richter, o Enzo Mari, o anche Enore Zaffiri applicavano, alla metà degli anni sessanta, il primo all'urbanistica...; il secondo alla percezione visiva, al progetto nell'opera d'arte, alla progettazione architettonica (con l'architetto Morassutti); il terzo tentando una mediazione tra progettualità musicale e creatività formale... Mi sembra giusto che oggi ... si riprenda il discorso che, con un bagaglio di esperienze scientifiche approfondite, non può non aprirsi a soluzioni nuove, più attuali e più complesse tenendo conto, come Aitiani fa, non solo dell'apporto dell'informatica e della telematica «per una dilatazione dell'espressione artistica», ma di quello che «in senso kierkegaardianamente socratico» egli chiama «l'inessenziale dionisiaco, fondamento dell'arte, di quella irrazionalità indistinta e tuttavia concreta, generante una risonanza interiore», di quella «impronta d'individualità», dunque, che sottende ogni fatto creativo […]

* Critico d’arte moderna e contemporanea

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Andrea B. Del Guercio, Marcello Aitiani. L’arte come complesso veicolo di conoscenza - Per Expo Bari, 1983

[…] Aitiani è andato raccogliendo, dopo esperienze culturali diverse, le proprie esigenze espressive nel linguaggio delle arti visive ed individuando una grammatica dalla complessa e diversificata natura.

La scelta per l’espressione artistica rivela subito il precedente approfondimento di una cultura musicale intesa non soltanto per specifica grammatica, ma nel valore di complesso veicolo di conoscenza ed attenzione ad umori profondi. […]

Ogni opera o gruppo di lavori si è venuto raccogliendo in un tema e per ognuno di essi Aitiani ha realizzato un ben specifico linguaggio. La manipolazione creativa, quindi, non è solo pittorica, ma risulterà di volta in volta consona, nelle forme e nei modi più vari, al tema o al momento emozionale immediato, dimostrando una completa liberazione dai limiti tecnico-espressivi presenti nelle leggi della tradizione; una manipolazione che, così condotta, ricollega Aitiani alla lunga tradizione che fu dei Duchamp e dei Savinio […].

Così, nel ciclo degli Obelischi [1982-’83], appare la presenza di materiali industriali, quali sinuosi nastri magnetici, la cui disposizione fluttuante aggiunge nuovo valore ad opere dal chiaro impianto pittorico, con attributi simbolico-musicali; […] Il risultato complessivo esclude qualsiasi definizione «eclettica», erroneamente attribuita da una lettura riduttiva all’impegno creativo di Aitiani, ma esalta quella volontà di indagine cosmologica che lo ha sempre caratterizzato.

Nel più piccolo lavoro: Canto saffico [1978], possiamo infine riconoscere e verificare quanto fino a questo punto abbiamo trascritto; ritengo, infatti, che l’elemento pittorico-gestuale abbia ragioni d’essere in funzione della trascrizione di un’emozione musicale e quindi di una violenta causa mentale; sulla materia pittorica, infatti, come un vortice, si dispone ad accentuare il valore psicologico dell’intento creativo la scrittura musicale.

La difficile strada scelta, quindi, da Aitiani, lontana dalle ripetizioni e dai clichés, si presenta oggi con tutto il suo ricco valore di libera ed autentica ricerca, tra gli infiniti spazi della mente.

* Storico dell’Arte contemporanea, Docente all’Accademia di Belle Arti di Brera in Milano

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Tommaso Paloscia, Marcello Aitiani, in Accadde in Toscana - 3, Edizioni Polistampa, Firenze 1999


[...] Musicista nell'anima, saggista, soprattutto pittore per vocazione, Marcello Aitiani ha affrontato fin da giovanissimo l'arte visiva sviluppandola gradualmente intorno a concetti innovativi, certo alludendo ad aperture multimediali se si considera la precoce versatilità riversata in diversi settori dell'arte [...]

I suoi studi si addentrano in una filosofia specifica a inseguirvi quegli elementi essenziali capaci di identificare 'l'operazione arte' in quanto espressione di intuizioni e di emozioni coesistenti nella pittura, nella scultura, nella musica, nell'architettura, nel cinema, nella poesia. Elementi da tradurre in un concerto totale di essenzialità che Aitiani predilige [...] in uno sviluppo articolato fra computer, fibre ottiche, fantasticherie della microelettronica che concorrono a indurre il pittore, lo scultore, l'architetto, il musicista, il poeta - come si diceva dianzi - a integrare le loro creatività per «quell'esperienza multilinguistica che è la sola capace - conclude Aitiani in Fata Morgana, una delle sue pregevoli pubblicazioni - di tradurre positivamente le potenzialità espressive e le dinamiche non lineari, caotiche, del nostro tempo, secondo un ordine del non equilibrio che in sempre più vasti settori si viene constatando» [… ]

* Critico d’arte e giornalista

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Joseph Ruzicka, Siena. Marcello Aitiani at the Palazzo Pubblico, in “Art in America”, novembre 1990

Walking trough Aitiani’s installation, “Nave di luce” (Ship of Light), in the lofty barrel-vaulted basement of the Palazzo Pubblico, one was struck by the artist’s subtle interweaving of past and present, tradition and innovation. Aitiani, a Siena-based artist, orchestrated a complex environment of music, performance, architecture, painting and sculpture, combing traditional mediums such as oil paint and wood with highly inventive uses of computer and audiovisual technology. The paintings and sculptures, while highly theoretical and abstract, offered the viewer familiar formats and traditional materials. Computers, digital synthesizers, audiovisual monitors and phone lines extended the physical boundaries of exhibition and allowed numerous people to participate in creating the show’s various other elements.

[…]

Using this prototype, Aitiani is able to invent an almost infinite variety of objects: for example, a painting of a skyscraper on fire, a wooden relief of the skyscraper severed in two, with a diamond shaped painting between the parts; and a large white floor relief with rows of square white wooden rods of different lengths, each tip colored according to the rod’s height. These stationary works are in turn contrasted with moving images –also based on skyscraper prototype- that prow and change on computer monitors positioned throughout the space.

Calling upon these diverse mediums and mind-sets, Aitiani immerses the viewer simultaneously in Italy’s artistic past and its prospects for the future. Blending ideas that he has refined over the past decade, the artist transports the wiewer to a special world of music and light and suggested the potential for goodness and beauty that our lives hold.

* Critico d’arte

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Giuseppe Salerno *, L’arte senza barriere, introduzione di Paolo Portoghesi e Domenico De Masi, Giovanni Semeraro Editore, Roma 1991.


Il 10 marzo 1990 Marcello Aitiani inaugura a Siena, presso i Magazzini del Sale, Nave di luce… Individuato nella coesistenza dei linguaggi l’oggetto della propria indagine, l’artista ricerca il minimo comune denominatore tra tutte le possibili forme espressive e crea in laboratorio processi interattivi tra manifestazioni estetiche di natura assai diversa. L’applicazione di particolari tecniche di calcolo combinatorio gli consente di attraversare lo scritto, l’immagine, e il suono […]

Linguaggi diversi s’intrecciano, rispondono a tensioni autonome, all’interno di configurazioni tecnologiche e dei campi di probabilità che l’artista fissa con il “metodo delle Scritture p/neumatiche”. Aitiani abbandona ogni lettura specialistica, attraversa i linguaggi, lascia propri segni ed innesca meccanismi autogeneranti. L’energia, assunta la dimensione elettrica, si rapporta con lo spazio/tempo e determina, tra luoghi ‘lontani’, eventi interattivi in cui i linguaggi trascinano tutto ciò che incontrano sul loro cammino nel vortice dell’esistenza. Gli oggetti si smaterializzano, tornano ad essere concetti ed i concetti riconfluiscono nell’energia totale. Nave di luce è la proiezione nello spazio di processi interni alle cose; il micro e il macro si confondono e si fondono in una genesi cosmica. Fuori dal tempo e dallo spazio la ‘nave’ timonata da Aitiani si muove «rapidissima nell’assoluta immobilità».

* Critico e curatore d’arte

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Stefania Severi *, Gli artisti e l'opera arte, Cappellania degli artisti - Siena 1997


Propone una sintesi dell'opera di Marcello Aitiani è praticamente impossibile perché una caratteristica del suo operato e del suo essere artista è l'interattività dei linguaggi; non si può individuare in lui una dominante pittorica o scultorea o musicale o poetica o video artistica. La complessità del suo modo di concepire l'arte è documentata dal ricco bagaglio teorico che accompagna i suoi lavori. Tale peculiarità è stata del resto sottolineata da Enrico Crispolti [...]. Questo fa di lui un artista di stampo rinascimentale, mai etichettabile, sempre ansioso di percorrere le strade dello scibile utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione. Pur con basi scientifiche, i suoi interventi sono comunque poetici, per quell'assimilazione tra arte e scienza di leonardesca memoria […]

* Scrittrice e critico d’arte